di Johannes Fiebag
Avete mai sentito parlare di "culti cargo"? Cosa si intende esattamente con tale espressione? I culti cargo sorgono nel momento in cui una data cultura, tecnologicamente avanzata, entra in contatto con un'altra più arretrata: è la stessa strana esperienza a suo tempo vissuta da Cristoforo Colombo, il quale, approdato su una delle isole delle Bahamas, racconta sul libro di bordo l'incontro del suo equipaggio con gli indigeni del posto: "Ci accolsero riverendoci come se fossimo stati dèi discesi dal cielo".Analogamente a Colombo, anche Sir Francis Drake venne scambiato per un'entità soprannaturale dai nativi indiani stanziati nella zona dell'attuale San Francisco: "Cercammo di spiegare loro che non eravamo degli dei - ricorda lo scrivano di bordo - ma inutilmente".Il capitano James Cook, sbarcato a Tahiti, fu creduto il dio Rongo, ritornato fra gli uomini dopo aver a suo tempo, secondo la leggenda, abbandonato l'isola a bordo di una nave simile ad una nuvola.Il capitano francese Jean Ribault, fece erigere in Florida, nel 1565, una colonna con l'emblema del proprio Stato; qualche anno più tardi la colonna divenne il centro dei culti religiosi degli indigeni del posto, che l'adornavano con ghirlande e vi ponevano davanti doni sacrificali.Tali culti persistono anche nel nostro secolo. Negli anni Venti il naturalista James Hurley constatò che non solo a lui, ma anche al proprio idrovolante, gli indigeni della Nuova Guinea, erano soliti ogni sera sacrificare un suino: essi credevano l'aeroplano una entità divina.Quando nel 1943 altri uomini bianchi penetrarono per la prima volta nell'altopiano orientale della Nuova Guinea, videro che gli indigeni maneggiavano lunghe aste di bambù, provviste di fili dati da fibre vegetali e sormontate da pseudo microfoni di legno: più tardi essi appresero che i nativi altro non volevano che imitare il comportamento dei soldati americani, osservati presso una vicina base aerea e dai cui "grandi uccelli metallici" essi attendevano doni.Da questa speranza riposta nei doni, cioè nelle merci (inglese "cargo"), deriva la denominazione di tali culti religiosi.Il caso più curioso ebbe luogo in una piccola isola dei mari del Sud, Tinna, dove negli anni Venti visse per un breve tempo un soldato americano, John Frum. Ancora oggi l'intera vita religiosa del posto è incentrata sulla sua figura: egli viene considerato una divinità della quale si attende il ritorno dalla "Terra Promessa", ossia dall'America, carica di ricchi doni per le popolazioni. Un paio di monete e di banconote di John Frum sono custodite come reliquie, ed in suo onore è stato costruito un piccolo tempio di bamboo; infine gli isolani portano tatuate sull'avambraccio le lettere "USA" ed il capo tribù dell'epoca, al quale successivamente John Frum sarebbe apparso in sogno, è nel frattempo venerato come "grande profeta".È interessante notare che í misteriosi strumenti tecnici degli "stranieri" erano descritti attraverso i concetti mutuati dal proprio lessico, per cui un aeroplano era rappresentato come "grande uccello" o come "uccello tonante"; una locomotiva, come "cavallo di fuoco"; i cavi telefonici come "fili cantanti". Presso gli Apache, ancora oggi, le componenti di un'automobile vengono definite tramite concetti relativi all'anatomia umana: i fari sono "gli occhi", il motore è "l'intestino" e via dicendo.
LEGGENDARI ARRIVI CELESTI
Se si confrontano ora questi culti cargo con le religioni a noi note, riscontriamo inevitabilmente alcuni elementi comuni sorprendenti. Le leggende, tramandate oralmente, relative agli dei scesi dal cielo su carri di fuoco per punire o per ricompensare gli uomini o per esigere da loro dei servigi, esistono presso tutti i popoli del mondo. Gli "dei" del "nuovo mondo" e quelli del XX° secolo, che determinarono la nascita dei culti cargo nei mari del Sud o in qualsiasi altro posto, sono a noi noti. Ma chi furono invece questi altri dei responsabili millenni orsono, della nascita di identici culti e religioni dell'intero pianeta?
I KAJAPPOS
In Amazzonia vive la tribù dei Kajappos. Da tempi remoti essa venera un dio dal nome Bep Kororoti, di cui si racconta arrivò e visse in mezzo agli indigeni, per poi fare ritorno al cielo. Bep Kororoti, avrebbe indossato uno strano abito che lo ricopriva da capo a piedi e in mano teneva uno strumento da cui scaturivano dei fulmini. Infine egli avrebbe impartito agli uomini le tecniche fondamentali dell'agricoltura e dell'allevamento, nonché nuovi stratagemmi per la caccia, per ripartire infine fra fuoco e fiamme, scomparendo nel firmamento. Ancora oggi i Kajappos celebrano una volta l'anno una grande festa, in ricordo di questo loro dio, nel corso della quale un sacerdote si immedesima nel ruolo di Bep Kororoti, indossando un bizzarro indumento di paglia. Tutto questo non ricorda forse da vicino il culto celebrato nel secolo attuale in onore di John Frum, sull'isola di Tinna? L'unica differenza rispetto a quest'ultimo è che la leggenda dei Kajappos si riferisce ad eventi verificatisi oltre 25.000 anno orsono.
I DOGON E SIRIO B
Rimanendo in un contesto analogo, rivolgiamo ora la nostra attenzione ad un'altra popolazione e ad altre relative leggende.Nel territorio corrispondente all'odierno Mali, nell'Africa Occidentale, vive la tribù dei Dogon, i cui miti vennero per la prima volta studiati un sessantennio orsono da due etnologi francesi. Le ricerche fecero luce su particolari a dir poco sconcertanti: l'intera vita religiosa dei Dogon era incentrata sulla cosiddetta festa dei Sigui, che ricorreva ogni cinquant'anni; si tratta del periodo - così riferirono gli sciamani del villaggio agli sbalorditi etnologi - in cui una stella, invisibile dal nostro pianeta, completa la propria rivoluzione attorno a Sirio. Oggi sappiamo con certezza dell'esistenza di una simile stella, la cui scoperta avvenne alla fine del secolo scorso e della quale esistono fotografie realizzate solo all'inizio degli anni Settanta. Si tratta pertanto di una stella assolutamente invisibile ad occhio nudo!Ma questo non è ancora tutto: i Dogon sono al corrente non solo dell'esistenza della stella in questione, ma ne conoscono anche il periodo di rivoluzione, i già citati cinquant'anni, che la moderna astronomia ha confermato. Essi inoltre sanno che la Sirio B descrive un'orbita ellissoidale attorno alla principale Sirio A e che è caratterizzata da una massa enormemente pesante. Un semplice pungo di materia, secondo i Dogon, peserebbe più di tutti i granelli delle spiagge del mondo messi insieme.Sirio B infatti è una cosiddetta Nana Bianca, cioè una stella che un tempo subì un processo di contrazione, a seguito del quale la sua materia venne enormemente compressa.I Dogon inoltre sanno da millenni che la superficie della luna è "secca e morta come sangue secco e morto", descrivono Saturno circondato da un singolo anello e conoscono le quattro grandi lune galileiane di Giove.Della nostra Via Lattea essi parlano come di un ammasso stellare e spiraliforme, analogo a tanti altri. Si tratta di nozioni da noi acquisite solo a partire dal secolo scorso.Mentre tutto ciò è noto ai Dogon dal XIII° secolo dopo Cristo: a tale periodo infatti è possibile far risalire l'impiego delle maschere rituali che ogni 50 anni vengono prodotte in occasione della festa del Sigui. Da chi ha appreso i Dogon queste sorprendenti informazioni?La loro tradizione orale parla di un dio, sceso dalle stelle su di una grande arca e denominato Nummo, un essere a metà strada fra l'uomo e il pesce.
OANNES: UOMO-PESCE
Colpisce constatare che anche i Sumeri, civiltà stanziata nell'area dell'odierno Irak, adorassero una curiosa figura, da loro denominata Oannes. Anche Oannes sarebbe sceso dal cielo a bordo di una "enorme perla luccicante", per portare la conoscenza agli uomini. Si tenga presenta a questo proposito un dato estremamente interessante: la civiltà sumerica, di fatto la più antica del mondo, si sviluppò repentinamente, quasi da un giorno all'altro.
Desidero ora soffermarmi su un altro esempio, a mio avviso estremamente utile per la ricerca di tracce extraterrestri nel passato. Nel 580 a.C. viveva in un ghetto di Babilonia il profeta biblico Ezechiele, un membro delle tribù israelitiche lì deportate qualche anno prima. Nell'anno 584 Ezechiele, ancor giovane, durante una delle sue peregrinazioni nel deserto, vive un'avventura straordinaria: "Un carro celeste" si posa al suolo davanti ai suoi occhi; in cima ad esso egli scorge una figura, che di li a poco incomincia a rivolgergli la parola. Nel testo biblico si legge: «Nel trentesimo anno, al quinto giorno del quarto mese, mentre mi trovavo tra gli Esiliati sulle rive del fiume Kebar, il cielo si aprì e vidi quindi levarsi un possente vento proveniente da Nord, accompagnato da una grande nube e da una grande massa di fuoco: un abbacinante bagliore la circondava, in mezzo alla massa di fuoco pareva di intravedere del rame».Ezechiele descrive quindi quattro corpi, che ai suoi occhi avevano sembianze di animali, in ognuno dei quali egli ravvisa quattro ali. Da questi corpi si sprigionavano a più riprese dei lampi e avevano qualcosa di simile a mani umane posto sulle loro "gambe". Tali "gambe" erano dritte e presentavano dei "piedi" arrotondati che rilucevano come "rame lucido". Le strane figure, prosegue, possedevano anche delle ruote: «Come vidi le figure, notai che ognuna di esse evidenziava una ruota. Le ruote avevano l'aspetto del turchese, erano tutte e quattro uguali e si presentavano come se fossero una all'interno dell'altra; esse potevano muoversi in tutte le direzioni e, nel muoversi, non si giravano». È interessante anche la descrizione di ciò che si trovava al di sopra di queste figure alate, fornite di gambe metalliche e di ruote: «Sopra le teste delle figure si poteva scorgere una volta celeste, simile ad un cristallo; quando le figure si muovevano, potevo udire il rumore del battito delle loro ali, che ricordava lo scrosciare di grosse masse d'acqua, come la voce dell'Onnipossente: un frastuono simile ad un reggimento in marcia. E al di sopra della volta posta sulle loro teste, si scorgeva una specie di trono brillante come uno zaffiro, sul quale sedeva un essere simile ad un uomo: la sua figura emanava una grande luminosità, simile all'arcobaleno dopo il temporale; sentivo di trovarmi al cospetto della gloria del Signore, mi buttai quindi al suolo; e qualcuno prese a rivolgermi le seguenti parole: "Alzati, figlio dell'Uomo, perché io possa parlarti". Come sentii questa voce, la vita ritornò in me».Cerchiamo ora di immedesimarci nella situazione che visse Ezechiele: un sacerdote degli Israeliti, ha improvvisamente uno straordinario incontro con un "carro celeste", in cui riconosce strutture che egli denomina "ali", "gambe metalliche", "ruote", un corpo centrale ed infine un essere posto sulla sommità, seduto su un trono, che gli si rivolge verbalmente. Nulla di strano se il giovane profeta, di fronte ad un tale spettacolo cade in preda ad uno shock per l'esperienza vissuta; parecchi giorni dopo infatti scrive: «Mi riunii agli esiliati che vivevano lungo il fiume Kebar, a Tel Abib. Rimasi con loro sette giorni, completamente sconvolto».